PMI guidate da donne: in Italia solo il 14%

In Italia solo il 14%

Stando alle indagini di Unioncamere, le PMI guidate da donne sarebbero 1 milione e 300 mila, poco più di 1 su 5. Eppure, il dato sembra molto riduttivo.

Prima di procedere con l’individuazione dell’errore, è bene ricordare la definizione di impresa femminile. In Italia, è considerata impresa femminile la società cooperativa e la società di persone, costituita in misura non inferiore al 60% da donne. Mentre per definizione, nelle società di capitali se le quote di partecipazione spettano in misura non inferiore ai 2/3 a donne allora si può parlare di impresa femminile.

Ma la definizione proposta dalla Legge 215/92 si scontra con la realtà produttiva ed economica del nostro paese composta per il 92% da PMI a conduzione familiare.

L’indagine di Confimi

L’inadeguatezza della definizione viene riscontrata dal Gruppo Donne di Confimi Industria che ha proposto un’indagine per studiare l’incidenza femminile nelle PMI. Secondo lo studio condotto è emerso che l’81% delle società di persone ha soci donna e nel 54% le PMI sono guidate da donne.

Inoltre, in 9 aziende su 10 le donne rivestono ruoli apicali, come responsabili:

  • amministrative (41%),
  • commerciali (22%),
  • per gli acquisti (22%),
  • per il marketing e HR (15%).

Nonostante i numeri facciano ben sperare, stando all’attuale legge, solo il 14% delle PMI riconosce effettivamente il ruolo di guida delle donne.

La richiesta del Gruppo Donne

Per far sì che i parametri vengano rivisti, il Gruppo Donne di Confimi ha presentato la propria indagine ad alcune esponenti della politica italiana.

Senatrici, deputate e responsabili hanno valutato la proposta, con l’obiettivo di allargare i parametri per individuare il corretto numero di PMI guidate da donne. La proposta della Presidente del Gruppo, Vincenza Frasca, è quella di considerare come imprese femminili, le società cooperative e di persone, costituite in misura non inferiore al 51% da donne.

Con questa nuova definizione si arriverebbe ad un quadro più realistico dell’apporto delle donne nell’economia italiana. L’epilogo sarebbe quello di riconoscere come femminili il 33% delle imprese appartenenti al settore manifatturiero, contro il 14% attualmente riconosciuto.

Le imprese femminili in Europa

Il problema non sarebbe solo italiano, ma anche europeo: la stessa UE promuovendo l’empowerment femminile, presenta dei vuoti legislativi non indifferenti. Questo perché non esiste una definizione unica di impresa femminile valida per tutti gli Stati membri. Per individuare il numero corretto, sarebbe opportuno iniziare a fissare i caratteri normativi con i nuovi criteri proposti al 51%.

In conclusione, la proposta culminerebbe anche con una modifica alla definizione di imprenditrice che, ad oggi, la vede solo come creatrice di un’attività di cui possiede le quote. L’obiezione del Gruppo Donne si fonda sull’interesse per l’azienda che muove l’imprenditrice, indipendentemente dalle quote possedute.